Descrizione
Le Gole dell’Infernaccio, in origine chiamate “Golubro”, dal latino “Gula” che significa gola e “Lubricum” che sta ad indicare scivolosa ed impenetrabile, sono delle splendide gole naturali frutto del paziente lavoro del fiume Tenna che, nel corso di milioni di anni, ha eroso queste rocce creandosi una via di uscita. Il fiume Tenna nasce tra il Monte Sibilla e Cima Vallelunga da una parte e il Monte Bove sud, Pizzo Berro e Monte Priora dall’altro. Le Gole dell’Infernaccio sono definibili come impressionanti, magnifiche e possenti dove vertiginose pareti di roccia in alcuni punti arrivano quasi a sfiorarsi e la luce fatica a penetrare, dove il gracidio delle cornacchie che volteggiano nel cielo creano un’atmosfera tale da sembrare di essere in un girone dell’inferno dantesco. Qui i rumori della natura sono sinfonie e armonie meravigliose: il mormorio del fiume che sbuca all’improvviso da meandri misteriosi, che scorre tra i sassi e si destreggia in questa impervia gola, lo scorrere dei ruscelli e i piccoli salti delle cascatelle che si odono in lontananza saranno il sottofondo del vostro cammino.
Le gole mettevano in comunicazione le due valli diametralmente opposte, quella del fiume Nera che sfocia nel Tevere e quella del fiume Tenna che si riversa nell’Adriatico. Era la via più breve ed accessibile per tutte le popolazioni che per necessità dovevano attraversare l’Appennino. Basti pensare che un tempo l’agricoltura, la pastorizia e la transumanza erano la vera ricchezza ed il sostentamento di questi popoli montani che, durante la stagione invernale, conducevano i loro greggi a svernare nelle campagne a valle. Luogo però fin da sempre inaccessibile per i suoi ripidi e profondi strapiombi, era la via che conduceva a Roma passando per Norcia, Visso ed altri luoghi (…di una strada che vi passa a lato e che duce a Roma, a Norzia, a Visse et altri luoghi che dalli tempi buoni è molto frequentata…), passava proprio sopra la gola, su di un pianoro dove, nell’antichità si trovava la piccola Chiesa di San Leonardo. Da chi venne costruito il tracciato non è dato saperlo ma scavi effettuati recentemente hanno portato alla luce resti di mura di fondamenta che, da un esame della calce effettuato, fanno risalire la sua origine al II o al III sec. a.C.
Non si sa con esattezza quando il Golubro passò sotto il possedimento di alcuni conti e feudatari del luogo ma, nel XII sec., l’allora proprietaria Drusiana figlia di Bodetoccio, un signore di Valle, donò ai monaci camaldolesi di Fonte Avellana (oggi sotto la provincia di Pesaro Urbino) tutti i suoi possedimenti, chiese, mulini, terreni, ville, pascoli e prati, compresa la Chiesa di San Leonardo edificata sul Golubro. Qui i monaci camaldolesi dell’Ordine di San Benedetto, congregazione monastica fondata nel 1024 da San Romualdo, monaco benedettino, vissero per anni solamente con quanto la terra donava loro. Essi coltivavano i terreni circostanti, scendevano a valle per disboscare e procurarsi la legna per la stagione invernale e seminavano il grano nel mese di Marzo terminate le gelate invernali, chiamato di conseguenza “marzolo” o in dialetto “Jinichia”, che veniva poi mietuto alla fine di Settembre. Essi davano ospitalità anche ai pellegrini ed ai viandanti che percorrevano la via; venivano accolti non solo con vitto e alloggio, ma con ogni genere di cura e premura di cui essi necessitavano. I monaci avevano anche l’obbligo di lavare i piedi dei pellegrino stanco del viaggio ed il Priore era tenuto a consumare il pasto con loro. La crisi dell’agricoltura e della pastorizia costringerà molti popoli ad abbandonare queste terre ed a cercare lavoro altrove ed anche la Chiesa subirà la stessa sorte che, dopo oltre 40 anni, i monaci abbandonarono.
Nel 1970 qui si stabilì il frate cappuccino Padre Pietro Lavini con l’intento di ricostruire quell’antico edificio che stando a quanto riportano testi dell’epoca, doveva trattarsi di uno degli eremi più antichi e belli di tutte le Marche (vedi pagina Eremo di San Leonardo).
Il percorso del fiume che oggi si può osservare non è quello originale in quanto, dal versante del Monte Sibilla, scese a valle una frana che ostruì tutta la gola costringendo le acque del fiume Tenna a procurarsi un nuovo passaggio. Le Gole dell’Infernaccio non vennero quindi mai attraversate da nessuno fino a quando, nel 1820, una ditta di San Severino Marche costruì un piccolo ponte di legno oltre il dorso della frana per facilitare il trasporto a valle della legna dal bosco di Meta. Oltre la gola però, gli anziani raccontavano che bisognava avventurarsi saltando da un masso all’altro, di tronco in tronco e molto spesso mettendo i piedi nel fiume.
All’inizio del percorso che conduce all’ingresso delle gole, si attraverseranno dei rigagnoli d’acqua che, scendono dal Monte Zampa, formano le famosissime “Pisciarelle” ovvero piccole cascate di gocce di acqua che cadono dalle rocce sovrastanti e formano un curioso effetto simile ad una enorme doccia. Nelle giornate di sole i suoi raggi attraversano queste gocce creando uno spettacolare gioco di colori inimmaginabile ed indescrivibile ed il muschio attaccato alla parete rocciosa è di un verde intenso che sembra quasi finto. Piccole meraviglie della natura che vi consigliamo di osservare ed assaporare godendo a pieno il beneficio che queste sapranno donarvi!!!
Qui sarà possibile notare anche due targhe funebri poste a ricordo di Lorenzo Vili e Giuseppe Cennerilli in questo luogo periti ma in anni differenti. Si scorgeranno anche i resti di un luogo chiamato “Muline” dove si trovano i resti di un antico mulino costruito dai monaci camaldolesi che lo utilizzavano per macinare i frutti dei loro raccolti; fino al 1905 si potevano ancora vedere incassati nella roccia due perni che reggevano la ruota del mulino.
Anche ruderi di antiche mura che un tempo dividevano il territorio di Montefortino da quello di Visso, sono visibili lungo il percorso ma purtroppo non l’arco che era stato edificato. Questo luogo è chiamato “Arco fu” e cioè un tempo ci fu l’Arco.
Fuori dal bosco di alti faggi il sentiero si biforca e sarà possibile raggiungere l’Eremo di San Leonardo (vedi pagina Eremo San Leonardo), la sorgente del fiume Tenna (Capotenna) posta a 1.178 mt. e le Cascate del Rio dette anche cascate nascoste (vedi Itinerario nr.6).
Durante la stagione invernale la zona è ad alto rischio di valanghe per via della sua conformazione ed è quindi sconsigliabile addentrarsi fino alla primavera inoltrata. Le Gole dell’Infernaccio sono un ambiente di “orrida bellezza” dove in perfetta armonia si fondono insieme l’orrido ed il bello, la paura ed il fascino. Ogni anno sono attraversate da migliaia di turisti e di famiglie anche con bambini.
Curiosità: Si narra che la strada che conduce all’entrata delle Gole dell’Infernaccio molto tempo fa era chiamata “Valleria”, cioè il luogo che le Fate della Sibilla, scendendo dal Monte Sibilla, raggiungevano nelle notti di plenilunio per ballare con i pastori del luogo i “valli”, i balli in dialetto. Esse avevano l’obbligo di rientrare alla grotta prima che le luci dell’alba avessero lasciato l’orizzonte, in quanto nessun raggio di sole doveva sorprenderle. Prese dalla gioia e dall’entusiasmo, nessuna di loro però si accorse che il sole stava sorgendo e, sorprese ed impaurite, corsero via frettolosamente verso la grotta lasciandosi dietro una scia chiara che ancora oggi è possibile notare lungo il dorso della montagna. Essa è chiamata “il cammino delle fate”.
Padre Pietro Lavini è venuto a mancare il 9 Agosto 2015.